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IMPRESA FAMILIARE
La Corte Costituzionale con sentenza n. 148 depositata lo scorso 25 luglio ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, terzo comma c.c. (in calce) nella parte in cui non prevede il convivente di fatto come familiare.
La sentenza amplia il concetto di famiglia e, in linea con la realtà sociale e l’evoluzione degli orientamenti e norme europee, ha esteso al convivente di fatto l’applicazione dell’art. 230-bis che disciplina l’impresa familiare.
Un riconoscimento necessario al fine di garantire anche al convivente di fatto il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale dell’azienda e quello partecipativo nella gestione dell’impresa familiare senza distinzione alcuna.
Decisione che, consequenzialmente, dichiara illegittimo anche l’art. 230-ter del codice civile.
Art. 230-bis – terzo comma codice civile
Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge(8), i parenti entro il terzo grado(9); gli affini [78] entro il secondo(10); per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Art. 230 ter Codice Civile
Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato(1).