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RETRIBUZIONE
Troppo spesso i datori di lavoro non considerano le conseguenze derivanti dal pagamento in contanti delle retribuzioni sia che si tratti dell’intero importo dovuto a saldo della mensilità lavorata e retribuita, sia per eventuali acconti sulla stessa: pratiche ormai vietate che comportano l’applicazione di sanzioni pecuniarie comprese tra euro mille a euro cinquemila.
La Legge di Bilancio n. 205/2017 (commi da 910 a 914) ha imposto – a decorrere dal 1° luglio 2018 – l’obbligo di servirsi di strumenti tipizzati per una corretta tracciabilità dei flussi retributivi ricorrendo al sistema bancario o postale.
L’obbligo, come chiarito anche dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, riguarda tutti i rapporti di lavoro, di qualsiasi natura, indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ai contratti stipulati dalle cooperative con i propri soci e comunque riconducibili al concetto di retribuzione: pertanto, somme corrisposte a titolo di rimborso spese sostenute nell’interesse del datore di lavoro o nell’esecuzione della prestazione (es. rimborsi spese per viaggio, vitto, alloggio, ecc.) potrebbero essere corrisposte in contanti.
Alcun dubbio, invece, circa l’obbligo della tracciabilità delle somme corrisposte in caso di trasferte affinchè sia garantita, agli organi di ispettivi, di verificare i limiti di imponibilità fiscale e contributiva.
Con nota n. 606/2021 ha chiarito che non è possibile applicare alla sanzione pecuniaria l’istituto del cumulo giuridico e reato continuato:
“Tale disciplina non è però applicabile nei “casi di plurime violazioni commesse con altrettante condotte” (Cass. sent. n. 26434/2014; n. 5252/2011; n. 12974/2008; n. 12844/2008) e, nel caso di violazione della disposizione in esame, posta in essere per più mensilità, non può non riconoscersi la sussistenza di una pluralità di violazioni, indipendentemente dalla circostanza che l’illecito si riferisca ad uno o più lavoratori”.
Conseguentemente, per ciascuna mensilità (o pagamento in acconto) non corrisposta con strumenti tracciabili scatta una singola sanzione.
Bisogna, quindi, considerare che la dichiarazione rilasciata dal lavoratore che confermi all’ispettore di non essere stato retribuito in contanti NON ESCLUDE l’applicazione della sanzioni qualora, rispetto a tale dichiarazione, non segua un riscontro oggettivo anche attraverso verifiche da parte dell’organo ispettivo presso l’istituto bancario (o altro canale) utilizzato dal datore di lavoro.
Articolo 1 Comma 910 – A far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonche’ ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi: a) bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore; b) strumenti di pagamento elettronico; c) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento; d) emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento e’ il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purche’ di eta’ non inferiore a sedici anni.
Articolo 1 Comma 911 – I datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.
Articolo 1 Comma 912 – Per rapporto di lavoro, ai fini del comma 910, si intende ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle modalita’ di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonche’ ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142. La firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.