L’INAIL con la circolare n. 22 dello scorso 20 maggio fornisce alcuni chiarimenti in relazione alla tutela antinfortunistica rispetto ai casi accertati di infezione da SARS-CoV-2) in occasione di lavoro.
Il decreto “Cura Italia” (art. 42, comma 2) ha chiarito che, in caso di infezione da COVID-19 contratta in occasione di lavoro, il lavoratore ha diritto al riconoscimento della tutela prevista per l’infortunio sul lavoro in quanto equiparata alle patologie infettive già riconosciute dall’Istituto (es. epatite, brucellosi, AIDS, tetano): sono da intendersi cause virulenti equiparate alla causa violenta propria dell’infortunio sul lavoro.
Una tutela piena che dà il diritto all’inabilità temporanea assoluta e che copre anche l’eventuale periodo di quarantena cui è stato sottoposto il lavoratore.
Gli oneri derivanti da eventi infortunistici da contagio, non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico e sono posti a carico della gestione assicurativa (in pratica, non vi saranno maggiori oneri per le aziende).
Il riconoscimento alla tutela infortunistica da COVID-19 ha, però, aperto spazi a potenziali profili di responsabilità – anche di natura penale – in capo al datore di lavoro qualora non abbia adottato le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio.
Responsabilità civili e penali cui potrebbero trovare applicazione sia l’art. 590 c.p. (lesioni personali colpose) sia l’art. 589 c.p. (omicidio colposo) in caso di decesso del lavoratore a seguito della malattia.
Rispetto a tali principi e alle problematiche sollevate in relazione alla responsabilità penali del datore di lavoro, l’INAIL esclude una relazione diretta tra contagio in occasione di lavoro e responsabilità civile e penale del datore di lavoro che ha adottato tutte le misure di sicurezza previste dai protocolli nazionali e regionali di cui all’art. 1, comma 14 del Decreto Legge n. 33/2020:
14. Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 2 del decreto- legge n. 19 del 2020 o del comma 16.
Il rispetto di tali misure di contenimento da parte del datore di lavoro che abbia concretamente adempiuto alle misure di prevenzione, protezione individuale, formazione e informazione del personale, alla sorveglianza sanitaria speciale nei confronti dei lavoratori di età a rischio o con patologie gravi, sono da ritenere sufficienti a escludere la responsabilità del datore di lavoro, non possono essere motivo di mancato diritto alle prestazioni INAIL per il lavoratore in caso di contagio COVID-19, non essendo, tra l’altro, possibile pretendere “rischio zero” negli ambienti di lavoro.
La circolare INAIL affronta anche l’azione di regresso (ossia la rivalsa dell’Istituto sul datore di lavoro) che non potrà essere adottata se non in casi di imputabilità a titolo di colpa della condotta causativa del danno: in assenza di una comprovata violazione delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida, sarà improbabile ipotizza e dimostrare la colpa del datore di lavoro.
Sarebbe auspicabile che il legislatore normi la fattispecie in modo chiaro, senza lasciare a interpretazioni un argomento così delicato e importante…