L’emergenza epidemiologia da COVID-19 ha indotto alcuni datori di lavoro ad offrire, ai propri dipendenti, servizio gratuito di vaccinazione antinfluenzale.
Detto servizio – offerto presso centri convenzionati o locali aziendali – NON costituisce reddito per i lavoratori interessati secondo quanto previsto dall’art. 51, comma 2 , lettera f) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi:
“l’utilizzazione di opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento interno aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’art. 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100″ (finalità educative, di istruzione, assistenza sociale, sanitaria e culto).
Tale esclusione opera anche nei confronti dei familiari a prescindere se a carico, conviventi, percettori di assegni alimentari giudiziari.
Differente il caso in cui il datore di lavoro rimborsi la spesa per la vaccinazione: in tal caso, il rimborso delle spese sanitarie costituiscono reddito.
Qualora il rimborso delle spese sanitarie venga disposto da contratto collettivo, accordi o regolamenti aziendali: considerandole a carico del contribuente, se sono state oggetto di formazione del reddito del lavoratore, devono essere riconosciute le detrazioni in sede di conguaglio di fine anno o di fine rapporto.
Ulteriore ipotesi è quella con la quale il datore di lavoro metta a disposizione di tutti i dipendenti dei voucher spendibili presso operatori sanitari che offrano il servizio di vaccinazione antinfluenzale: l’importo rientrerebbe nella franchigia annua di euro 258,23 (aumentata a euro 516,46 per il 2020) prevista dall’art. 51, comma 3 del TUIR.
Dovranno intendersi interamente deducibili i costi sostenuti per il servizio di vaccinazione per tutti i dipendenti se l’iniziativa derivi da obbligo negoziale; nella misura del 5 per mille se trattasi di iniziativa volontaria del datore di lavoro